Definisco il mio stile analitico-compositivo: unione di figurativo (quello che esiste e che vedo, o il ricordo di qualcosa che ho visto) e astratto (cioè la realtà parallela che si crea nella mia testa nel momento stesso in cui vedo o ripenso a questo qualcosa): registro e analizzo quello che vedo / ricordo e quello che di conseguenza penso, cercando di stendere questo doppio percorso reale / astratto sullo stesso piano.
Le mie linee sono “tremolanti”, proprio perché ripescate da una memoria che non mi è chiara: “Linee incerte e geometrie sciolte”, così definisco quel mio tratto in cui racchiudo tutte le cose astratte, impalpabili e temporanee che succedono nei e ai soggetti che indago.
Inoltre tatuo handpoke dal 2014. La prima volta che mi sono tatuata ho subito capito che unendo i punti sulla mia pelle potevo creare una linea e da lì mi accorsi che avevo appena conosciuto un nuovo mezzo d’espressione. Ho realizzato poi che l’hanpoke era per me una tecnica molto profonda che mi rispecchiava: calma, lenta e naturale perché segue il mio ritmo, un ritmo dato da un movimento umano, non meccanico, nel quale riesco a trovare il mio tempo (necessario a concentrarmi su ogni singolo punto) che diventa anche il tempo di chi sto tatuando. Questo dà più importanza al processo del tatuaggio che al tatuaggio in sé e per questo tatuare per me è una pratica performativa e non meramente “pittorica”.
Definisco il mio stile analitico-compositivo: unione di figurativo (quello che esiste e che vedo, o il ricordo di qualcosa che ho visto) e astratto (cioè la realtà parallela che si crea nella mia testa nel momento stesso in cui vedo o ripenso a questo qualcosa): registro e analizzo quello che vedo / ricordo e quello che di conseguenza penso, cercando di stendere questo doppio percorso reale / astratto sullo stesso piano.
Le mie linee sono “tremolanti”, proprio perché ripescate da una memoria che non mi è chiara: “Linee incerte e geometrie sciolte”, così definisco quel mio tratto in cui racchiudo tutte le cose astratte, impalpabili e temporanee che succedono nei e ai soggetti che indago.
Inoltre tatuo handpoke dal 2014. La prima volta che mi sono tatuata ho subito capito che unendo i punti sulla mia pelle potevo creare una linea e da lì mi accorsi che avevo appena conosciuto un nuovo mezzo d’espressione. Ho realizzato poi che l’hanpoke era per me una tecnica molto profonda che mi rispecchiava: calma, lenta e naturale perché segue il mio ritmo, un ritmo dato da un movimento umano, non meccanico, nel quale riesco a trovare il mio tempo (necessario a concentrarmi su ogni singolo punto) che diventa anche il tempo di chi sto tatuando. Questo dà più importanza al processo del tatuaggio che al tatuaggio in sé e per questo tatuare per me è una pratica performativa e non meramente “pittorica”.